venerdì 25 marzo 2022

Le parole del Papa, unico seme di una possibile pace

Confido nel Papa. Confido nelle sue parole, nei suoi gesti, spero nella sua diplomazia. Una voce di pace che si alza e prova a contrastare questi pazzeschi venti di guerra che fanno sempre più paura. Il mondo, che ripiomba nel sonno della ragione, con teste di cane e segni davanti alle porte di ebrei e pacifisti in Russia, con gli stati che si dividono fra vicini a Putin e vicini a Zelensky. 

Io non riesco a stare in un mondo semplificato, in cui devi schierarti su due opzioni che comunque non mi piacciono: quella della guerra e quella delle armi per contrastare la guerra. Sogno, da utopista, come lo era Gandhi, come lo è Francesco, come lo è stato Gorbacev, o come l'italianissmo Aldo Capitini, un mondo che sappia spremere le ragioni della diplomazia fino alla fine, capace di navigare contro i venti di guerra. 

Pensate per un attimo quanto è semplice schierarsi con Putin o contro di lui. Con Zelensky o contro Zelensky. Cancellando ogni ragione o ogni torto della storia e della politica. Facendo finta che tutto comincia con l’invasione dell’Ucraina, dimenticando tutto quello che ci può essere stato prima e tutte le responsabilità dei protagonisti. 

Le scelte di pace, o anche quelle di guerra, non possono essere avulse dalla storia, dalla memoria di quel che è successo prima. Non ci può essere una decisione senza valutarne le responsabilità e le scelte storiche che hanno portato ad una crisi. E quando questa crisi diventa pericolosa l’unica possibilità che c’è è quella di una scelta, a volte unilaterale, che spiazzi e spazzi via ogni altra opzione pericolosa. E ci vuole coraggio e rischio. 

Il coraggio di Francesco, di Santo Francesco, di andare solo col suo saio e da uomo di Dio dal grande Saladino nel 1219 e di gettare un seme di pace per Gerusalemme. Ed allora non sogno vertici, ma sogno capi di Stato che vanno a Mosca, da Putin (e anche il Papa è capo di Stato) e chiedono di entrare al Cremlino. Forti non dei loro poteri e dei loro arsenali ma dei loro desideri di Pace per un mondo che sia capace di confrontarsi e ragionare come all’interno di un’unica famiglia: la famiglia umana. 

Non cadrebbero bombe su loro. Ci sarebbe forse, da parte russa, un segno di incredulità. E forse tra quei capi di stato ci potrebbe essere anche la Cina.  Sogno il dialogo, unica utopia possibile. L’ammissione delle reciproche responsabilità, la definizione di un governo del mondo basato sull’obiettivo comune: la conservazione della specie umana. 

Ecco quello che io vedo nelle parole di Papa Francesco, in quel “è pazzia il riarmo al 2% del Pil” e nelle sue parole iniziali: “Mi sono vergognato” che segnano l’idea di una vergogna collettiva, vergogna per il genere umano che sa rispondere ad armi solo con armi e non con le parole della fratellanza e dell’amore.

Pensarla così non significa essere traditore dell’occidente, filo putiniano. Pensarla così non significa non aiutare l’Ucraina ma significa porre le basi per garantire un futuro a quel Paese, evitando che sanzione dopo sanzione e bomba dopo bomba seppelliscano ciò che abbiamo di più caro: la nostra umanità.

sabato 19 marzo 2022

La dialettica dei leader, l'altro fronte della Guerra Russia-Ucraina

 

C’è un altro fronte su cui questa guerra viene combattuta. E’ quello delle parole. Quelle che risuonano di giorno nei parlamenti dell’occidente e poi, di notte, da Kiev, quando Zalensky sprona il popolo ucraino alla resistenza. E poi ci sono quelle dello zar, quelle che tentano di recuperare la storia della grande madre russia, che provano a nascondere quella blitskrieg che era stata assicurata da parte dei generali ma che non si è verificata. 

Ed allora servono le grandi piazze, i discorsi, le rassicurazioni al popolo russo per tentare di convincerlo d’una guerra giusta, fatta per difendere la patria dai nazisti ucraini, da quel governo di tossici e drogati che hanno realizzato un genocidio nel Donbass. E’ pieno lo stadio di Mosca, ma dalla Russia dicono che è pubblico pagante, nel senso che si tratta di lavoratori dello Stato che non potevano esimersi dall’assicurare il plauso allo zar. 

Eppure se nelle prime ore della guerra qualcuno avesse dovuto scommettere su quale delle due “dialettiche” avrebbe vinto, quasi tutti avrebbero puntato sul “politico” Putin e non sull’attore Zelensky. Invece non è stato così. Nonostante la guerra, o forse proprio per le condizioni di guerra, di questa invasione del suo paese, Zelensky diventa l’eroe popolare. 

Quello che piace ai britannici perché cita Churchill, ai tedeschi perché li rende partecipi della sua situazione citando questo muro di Berlino che si sta alzando in Euiropa. Piace al congresso americano perché usa il suo 11 settembre che dura da 24 giorni per ricordare lo stato d’animo americano dell’epoca e perché cita il sogno di Martin Luther King trasformandolo nel suo bisogno di salvare la popolazione ucraina. 

Alla fine ciò che stupisce è che Zalensky appare come lo Statista mentre Vladimir sembra l’attore, in una sorta di capovolgimento delle storie personali.

GIORNALI A COLAZIONE: SABATO 19 MARZO 2022

 Arrivano gli sconti sul carburante. 25 centesimi al litro ma solo fino alla fine del mese di Aprile. Contributi energetici per le aziende e stanziamento per la gestione dei profughi Ucraini. Sul fronte "guerra" l'incontro tra Biden e Xi-Jinping promette impegno comune per la Pace ma da parte della Cina non ci sarà nessuna condanna a Putin: il Dragone vuole mantenere buoni rapporti tanto col mercato occidentale che con quello russo. Putin allo Stadio spiega in diretta ai presenti e in Dad ai russi le ragioni dell'operazione "Z" citando Stalin, lo Zar, Lenin, la grande madre Russia e il genocidio dei nazisti del battaglione Azov nel Donbass. Il barometro della Pace segna stallo e a tarda sera slitta nuovamente l'ipotesi di colloquio diretto tra Putin e Zelensky






venerdì 18 marzo 2022

GIORNALI A COLAZIONE: VENERDI 18 MARZO

 Tre fronti diversi sui quotidiani oggi in edicola. Il fronte di guerra in Ucraina con le specifiche del "pantano" in cui è finito l'esercito Russo che non sembra riuscire o volere sfondare a Kiev ma con un aumento delle vittime militari e civili. Sarebbero 7.000 i militari russi morti secondo i servizi statunitensi. Il fronte diplomatico con il capo delegazione ucraino che dice "dieci giorni di tempo per una tregua" mentre Zelensky parla al Bundestag tedesco. Oggi il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden - che dà del criminale e assassino a Vladimir Putin - sentirà al telefono Xi-Jinpig per provare la "via della seta" alla diplomazia. Poi il fronte economico a casa nostra. Le decisioni del Governo per aiutare i profughi, quelle per aiutare italiani e imprese sul caro energetico e la fine dell'emergenza legata alla pandemia con più libertà agli italiani. Segnalo anche alcuni articoli che provano a comprendere la strategia della comunicazione di Zelensky che surclassa quella novecentesca di Putin. Buona giornata a tutti



giovedì 17 marzo 2022

LA RASSEGNA STAMPA DI GIOVEDI 17 MARZO

Quali sono i titoli dei quotidiani oggi in edicola? Questa la rassegna stampa della notte di @Rainews24. Anche oggi si parla per lo più di guerra e i bombardamenti a Mariupol e le vittime civili trovano lo spazio maggiore nella narrazione sui quotidiani. Però c’è anche molto spazio dedicato alle ipotesi di accordo tra Russia-Ucraina attraverso le rivelazioni del Financial Times che parlano di una bozza in 15 punti per arrivare al cessate il fuoco. L’Ucraina non deve entrare nella Nato e la Russia vuole che la comunità internazionale accetti che la Crimea sia Russa. Nel frattempo Joe Biden dà del criminale a Putin che dice: “L’operazione sta andando bene anche se il nostro obiettivo non è quello di occupare l’Ucraina”. Zelensky al Congresso Usa: “Noi viviamo il nostro 11 settembre da 21 giorni”. A casa nostra il governo studia le misure per dare una mano a cittadini e imprese sul caro energetico e sul caro carburante.





mercoledì 16 marzo 2022

In una intervista al Messaggero si parla del romanzo "Sotto le Ceneri"

L'inchiesta che si sviluppa nel romanzo prende spunto da una inchiesta vera sull'interramento delle ceneri della centrale Enel di La spezia a Fabro, in Umbria. Negli anni '80 e '90 i quotidiani locali umbri ne hanno parlato molto, anche perché all'epoca molte associazioni ambientaliste, locali e nazionali, si occuparono di quella vicenda. E, insieme a loro, interrogazioni parlamentari accesero i riflettori su quegli interramenti e sul fatto che la società che gestiva il trasporto delle ceneri della centrale aveva sede amministrativa a Roma, dove anche il PSI di Bettino Craxi aveva la propria sede, in via Tomacelli. Dunque il romanzo che tratta anche di questo, perchè alla fine si tratta di un giallo "ambientale" ha portato "Il Messaggero" a occuparsene. L'uscita del romanzo sarà il 28 aprile ma il libro è già in prevendita sugli store on line e nel portale dell'Editore Santelli che, mi piace ripeterlo, è mio omonimo e l'idea di pubblicare con un editore che si chiama come me mi è piaciuta davvero molto. Devo ringraziare la giornalista del Messaggero, Monica Riccio, che ha realizzato l'intervista.

Il Messaggero 15 marzo 2022 

sabato 12 marzo 2022

Dico la mia su questa sporca guerra

E’ da qualche tempo che quando scrivo o parlo con amici e colleghi devo fare sempre una premessa. Prima era: “Io ho fatto la terza dose, sono favorevole ai vaccini, non sono un no vax”. E poi provavo a spiegare le mie considerazioni legate al fatto che nell’era che definisco – e non sono il solo – della Pandemocrazia, c’è una restrizione dei diritti che io vedo se non anticostituzionali almeno al limite della costituzionalità. La proliferazione dei decreti del presidente del consiglio, lo scarso ruolo del Parlamento, la restrizione dei diritti per i non vaccinati quando, se è vero come è vero che le vaccinazioni proteggono (mentre scrivo sono a casa con il Covid dopo la terza dose), quelli che rischiano sono loro. Ma questa è un’altra storia, non ancora passata probabilmente, ma un’altra storia.

L’altra storia è quella della guerra tra Russia e Ucraina.

Anche qui premessa a mia salvaguardi. Non ho mai indossato magliette con la faccia di Putin. Per me uno che chiude la bocca dei giornalisti anche col piombo, uno che modifica la Costituzione del proprio Paese per restare a capo dello stesso fino al 2036, uno che in Georgia e in Cecenia, o in Siria ha fatto quel che ha fatto, uno che mette in carcere gli oppositori che a volte muoiono non si sa per quale ragione è e resta un dittatore fin da quando ancora non aveva invaso l’Ucraina e la Crimea. E quindi qualche sanzione più sostanziosa di quelle fatte rima della Guerra l’avrei gradita. Ma come ne gradirei anche ad altri, come Erdogan, che non è uno stinco di santo e che con i giornalisti ha, diciamo, qualche problema di convivenza pacifica. O come l’Egitto, e mi fermo qui.

Condanno Putin  anche per l’invasione dell’Ucraina, ovviamente, e questa guerra atroce che sta ammazzando persone: civili e militari, anche questi ultimi con madri, padri, mogli e figli.

Ma, come giornalista, qualche dubbio su quel che sta accadendo mi viene. E francamente, proprio perché faccio questo mestiere, sarebbe sbagliato se non mi venisse perché non stimolerei la mia curiosità o farei l’errore che troppi fanno: quello di non avere memoria.


Quando nel 1992 Gorbacev dette il via libera alla disgregazione dell’Urss, quando si sottoscrissero i patti per la riunificazione tedesca, lui stesso racconta che ci fu un accordo fra le parti per evitare un allargamento della Nato ad Est. Quindi, diciamo, le ragioni o se vogliamo chiamarle le “scuse” di Putin hanno un fondamento storico.

I rapporti dell’Europa e della Nato con la Russia non sono stati mai positivi. Mi chiedo, dunque, se la diplomazia o i servizi dei diversi paesi europei non avevano immaginato che di fronte a questo allargamento della Nato prima o poi lo Zar si potesse un tantinino incazzare.


Poi provo anche a leggere non l’informazione russa ma quella occidentale. Leggo che Lavrov, il ministro degli esteri russo, afferma che in Ucraina c’erano dei laboratori di ricerca biologica che trattavano cose sicuramente poco belle e che erano finanziate dagli Stati Uniti. Ammettiamo che, come dicono gli Usa, siano falsità. Allora, però, mi chiedo perché l’OMS ha consigliato all’Ucraina di distruggere i patogeni conservati in alcuni laboratori.

Come contesto, purtroppo, la scarsa attenzione della mia Europa a quel che dal 2014 è accaduto nelle regioni ucraine del Donbass dove con le armi e anche attraverso l’uccisione di civili, si stavano compiendo atti che un Paese civile non avrebbe mai compiuto di fronte ad una richiesta di maggiore indipendenza della popolazione filorussa. La situazione esplose nelle proteste dell'Euromaidan nel 2014, con il conseguente colpo di Stato che destituì Janukovic, costretto alla fuga, e vide l'instaurarsi di un governo nazionalista, fortemente anti russo a guida di Petro Porošenko. Ne seguì un'ondata iconoclasta, similmente a quanto avvenne nei paesi baltici in seguito al crollo dell'URSS, i manifestanti anti russi abbatterono le statue di epoca sovietica, le amministrazioni cambiarono il nome dei luoghi pubblici che evocavano il passato sovietico e li sostituirono con i nomi dei collaborazionisti. Particolarmente emblematico fu l'abbattimento delle statue di Lenin e la loro sostituzione con quelle del collaborazionista Stepan Bandera. 

Anche la festa nazionale venne modificata, non più il 9 maggio, che è la Giornata della vittoria dell'URSS sul nazismo, ma il 24 agosto, Giornata dell'indipendenza ucraina dall'URSS. Ciò non avvenne in Ucraina orientale, dove anzi qualsiasi tentativo in tal senso era fortemente osteggiato dalla popolazione, che iniziò a mobilitarsi per staccarsi dall'Ucraina. La situazione per la comunità russa si faceva infatti sempre più difficile: le autonomie concesse dai governi precedenti vennero tutte revocate, l'uso e l'insegnamento della lingua russa vennero fortemente limitati e iniziarono a diffondersi episodi di grande violenza nei loro confronti, il più celebre fu la Strage di Odessa del 2 maggio 2014, dove almeno 48 russi vennero bruciati vivi nella Casa del Sindacato”.

Infine so che la democrazia è fatta anche di realpolitik. So che portare Putin al tavolo della trattativa non è cosa semplice. E so anche che più tempo passa, più sarà difficile ottenere accordi migliori. Ho paura che per l’Ucraina le due Repubbliche del Donbass, la Crimea e la città di Odessa siano perse definitivamente e che qualsiasi accordo non potrà trovare per quella zona una soluzione diversa che non sia quella dell’autonomia da Kiev. Come sono convinto che qualsiasi accordo non potrà fare a meno di cedere sul fatto che l’Ucraina mai entrerà nella Nato, almeno fino a quando non cambino un po’ di cose in Russia.

Questo perché, a meno che non si voglia trasformare un conflitto che sul campo è ancora tra due Stati (tre con la Bielorussia) in qualcosa di molto più pericoloso, la Russia questa guerra la vince. La vince soprattutto in quei territori filorussi.

Sarei felice se non finisse così, come sarei stato felice se, alla fine della seconda guerra mondiale, avessimo conservato l’Istria e la Dalmazia. Ma proprio per la realpolitik quello non fu possibile.

Infine mi sento di condividere il pensiero dei colleghi del sindacato della tv di stato Greca. Non è vietando all’occidente di leggere le informazioni di parte che giungono dalle tv e dalle agenzie russe che si evita che qualcuno in occidente sia Putiniano. C’è sempre chi è disposto a mettere una maglietta con la faccia del dittatore. 


giovedì 10 marzo 2022

Questa volta si tratta di un romanzo

Ho scritto saggi, per parlare di politica a sinistra, per parlare di Berlusconi, ho scritto, anzi, tramutato in scritto i racconti che Andrea Camilleri aveva fatto a Raisat Extra nei primi anni del 2000. Poi, che dire, parlare sempre di politica diventa anche un po' palloso per chi lo fa per mestiere. Così ho provato la strada di un romanzo giallo che, però, ha sempre qualche risvolto politico. 

Questo perché la storia che ne è alla base affonda negli anni di tangentopoli e, se avrete modo di leggerlo, lo potrete capire bene. Ma un romanzo da anche il modo di confrontarsi un po' con sé stessi. 

Così ci sono anche pezzi di storia vera che mi hanno coinvolto direttamente così come coinvolgono Matteo, giovane cronista di provincia. E la provincia. Una provincia che amo, quella che si trova nell'orvietano, in Umbria al confine tra Lazio e Toscana. Non è la mia terra di origine ma quella dei miei e quindi, geneticamente mi appartiene. Per me il romanzo è una prova, cimentarmi con una scrittura che certamente non è come quella giornalistica. L'esperienza, realizzata in epoca di pandemia, mi è piaciuta ed ora bisognerà capire se piacerà anche a voi lettori. Il 28 aprile il romanzo "Sotto le ceneri" uscirà nelle librerie, sarà acquistabile on line. E, pensate, viene pubblicato da un editore importante che porta il mio stesso cognome. Un piacevole incontro, dunque, che ci ha fatto attrarre come due calamite che hanno poli opposti. vediamo come va. 

domenica 20 febbraio 2022

Trent'anni fa tangentopoli. Le voci di chi l'ha vissuta

 Cirino Pomicino, ministro DC e fra i membri del caminetto dello scudocrociato, Ugo Intini, portavoce del PSI e uomo molto vicino a Bettino Craxi, Primo Greganti, il "compagno G" che negli anni è diventato quell'eroe del PCI capace di negare ogni addebito di tangenti al Partito affermando che si trattasse di consulenze fatte alle diverse aziende di Stato. Li abbiamo intervistati con Roberto Secci per Rainews 24


martedì 25 gennaio 2022

La mucca, l’elefante e le fidanzate: il futuro del Quirinale

Usiamo le metafore per spiegare e semplificare quel che accade nelle elezioni per il Presidente della Repubblica. Se si dividono i fronti, quello progressista e quello del centrodestra, ognuno ha da risolvere i problemi interni.

Partiamo dal centrodestra e partiamo dal kingmaker del centro destra, Matteo Salvini. Nel suo salotto ha sia l’elefante che la mucca, come direbbe Pierluigi Bersani. Le difficoltà sono rappresentate dalla mucca Forza Italia che, orfana di Berlusconi che con il ritiro ha consumato forse il suo ultimo atto politico, guarda alla possibilità di un futuro centrista che allarga la sua prospettiva a Renzi, che sta dall’altra parte, a chi è già uscito da Forza Italia come Romani e Toti e a un mondo ampio che trova al momento una sua temporanea casa nel gruppo misto. E loro pensano ad un Presidente della Repubblica centrista che, come Pier Ferdinando Casini, abbia una appartenenza centrista di lungo corso e che sappia ragionare con entrambi i poli. Paolo Romani a Rainews24 ha fatto un endorsement molto diretto all’ex presidente della Camera. E questo variegato mondo del centro ha un proprio kingmaker nemmeno tanto nascosto: Matteo Renzi. 

Lui, piaccia o meno dal punto di vista politico, è quello che ne capisce di più. E’ lui che, alla fine, staccando la spina al Conte 2 – ha portato Draghi a Palazzo Chigi. Ed è lui che, per primo, ha messo lì sul tavolo il nome di Pier Ferdinando Casini.  Che però non piace a Salvini che dice che non sarà certamente tra i nomi sollecitati dal centrodestra. Resta l’opzione Draghi. Ma Draghi serve al Kingmaker Salvini se riesce a far passare la propria linea tesa a mitigare la crescita elettorale dell’elefante del gruppo: Giorgia Meloni.  La Meloni non entrerà mai al governo con Draghi. L’azione di opposizione, dura, puntuale, la fa crescere nei consensi proponendosi come unica forza capace di far propri i temi una volta leghisti della sicurezza e della protezione dei confini dall’arrivo dei migranti. Temi sensibili per l’elettorato di centro destra. Ed è per questo che Salvini, nel giocare la carta Draghi, è chiaro. In ogni caso alla lega serve il Viminale. Ma chiede ciò che destabilizza la maggioranza attuale. Politicamente, sulla vicenda migranti, un pezzo della coalizione che sostiene il governo Draghi lo ha condannato. Movimento cinque stelle e Pd non possono accettare Salvini agli interni. E così c’è freddezza per il sostegno a Draghi. E su questo Fratelli d’Italia gioca: “Certo – dice Rampelli – non possiamo essere noi a fare il nome di Draghi”.

Poi c’è il fronte progressista. Il kingmaker in questo caso, vuoi o non vuoi, lo fa Enrico Letta. Il suo problema è quello dei ragazzi maggiorenni che vogliono uscire con una ragazza ancora minorenne. In che senso?

Tra il giovane maggiorenne e la ragazza ancora minorenne non si possono mai decidere le cose da soli. Il giovane Letta, dunque, non ha problemi nel definire la propria decisione con i suoi genitori che possiamo immaginarli come PD per padre e Leu per madre. E’ libero, maggiorenne e la famiglia si fida di lui. Ma la ragazza? La ragazza, che potremmo identificare in Giuseppe Conte, ad ogni ipotesi sul loro futuro che Letta fa è sempre la stessa: “Si, sono d’accordo, ma devo parlarne con i miei”. E i suoi, quelli di Conte, esercitano pressioni e per di più sono divorziati. E così la questione è complicata.

Sul Quirinale i pronostici sono sempre complicati. Ed è per questo che avanzare un’opzione è complicata. Per Gasparri, Draghi, dunque, dovrebbe stare nella sala operatoria, quindi a Chigi. E a quel punto, io avanzo l’ipotesi, il Presidente della Repubblica che soddisfi entrambi gli schieramenti  magari non sarà Pier Ferdinando Casini, ma l’identikit è quello. Se non apparirà nelle liste dei due schieramenti la sua posizione si consoliderà di sicuro.

Infine entrambi gli schieramenti non possono accettare l’ipotesi che due tecnici occupino sia la carica di Presidente della Repubblica che quella di Presidente del Consiglio.  E per questo l’extrema ratio, che piacerebbe a molti, è quella che tutto resti così come è ora. Mattarella di nuovo al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi. Poi, dopo il voto delle politiche, si vedrà se modificare le cose.


Le parole del Papa, unico seme di una possibile pace

Confido nel Papa. Confido nelle sue parole, nei suoi gesti, spero nella sua diplomazia. Una voce di pace che si alza e prova a contrastare q...