sabato 19 marzo 2022

La dialettica dei leader, l'altro fronte della Guerra Russia-Ucraina

 

C’è un altro fronte su cui questa guerra viene combattuta. E’ quello delle parole. Quelle che risuonano di giorno nei parlamenti dell’occidente e poi, di notte, da Kiev, quando Zalensky sprona il popolo ucraino alla resistenza. E poi ci sono quelle dello zar, quelle che tentano di recuperare la storia della grande madre russia, che provano a nascondere quella blitskrieg che era stata assicurata da parte dei generali ma che non si è verificata. 

Ed allora servono le grandi piazze, i discorsi, le rassicurazioni al popolo russo per tentare di convincerlo d’una guerra giusta, fatta per difendere la patria dai nazisti ucraini, da quel governo di tossici e drogati che hanno realizzato un genocidio nel Donbass. E’ pieno lo stadio di Mosca, ma dalla Russia dicono che è pubblico pagante, nel senso che si tratta di lavoratori dello Stato che non potevano esimersi dall’assicurare il plauso allo zar. 

Eppure se nelle prime ore della guerra qualcuno avesse dovuto scommettere su quale delle due “dialettiche” avrebbe vinto, quasi tutti avrebbero puntato sul “politico” Putin e non sull’attore Zelensky. Invece non è stato così. Nonostante la guerra, o forse proprio per le condizioni di guerra, di questa invasione del suo paese, Zelensky diventa l’eroe popolare. 

Quello che piace ai britannici perché cita Churchill, ai tedeschi perché li rende partecipi della sua situazione citando questo muro di Berlino che si sta alzando in Euiropa. Piace al congresso americano perché usa il suo 11 settembre che dura da 24 giorni per ricordare lo stato d’animo americano dell’epoca e perché cita il sogno di Martin Luther King trasformandolo nel suo bisogno di salvare la popolazione ucraina. 

Alla fine ciò che stupisce è che Zalensky appare come lo Statista mentre Vladimir sembra l’attore, in una sorta di capovolgimento delle storie personali.

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