martedì 17 luglio 2012

La chiusura del Tribunale di Orvieto è solo l'ultimo tassello del saccheggio

Ieri sera a Orvieto, alla sala dei 400 del Palazzo del Popolo, si è tenuto un Consiglio comunale e Provinciale aperto sulla chiusura del Tribunale di Orvieto. Serve unità e rispetto a questa necessità i consiglieri provinciali eletti nel territorio orvietano hanno depositato una mozione in cui definiscono la nascita dell'intergruppo "Orvietano bene comune". Cinque consiglieri di tre partiti diversi. Pd, Idv e Pdl. Daniele Longaroni (Pd) Stefano Garillo (Pd), Andrea Sacripanti (Pdl), Francesco Tiberi (Pdl) ed io indipendente eletto con Idv.  Questo il mio intervento, unitario.

Mentre Roma discute, Sagunto viene saccheggiata


Intanto grazie a chi ha voluto e preteso questo consiglio provinciale e comunale aperto. Fissato sul tema della chiusura del Tribunale di Orvieto penso che debba essere occasione per approfondire un tema che è quello della continua perdita di peso del territorio. Parto da alcune dichiarazioni. Quelle che il Guardasigilli Paola Severino ha reso alla stampa pochi giorni dopo la definizione delle misure di razionalizzazione degli uffici giudiziari che io, definisco, un pezzo della manovra di spending review del governo. Ecco, dopo la definizione delle 37 sedi da chiudere e le proteste conseguenti in quelle comunità, il ministro afferma. Chiudere un tribunale è più difficile che affondare una corazzata.

E’ questo termine che mi colpisce. Corazzata. Bene, se dobbiamo parlare della corazzata orvietana dobbiamo ammetterlo. I colpi subiti, i siluri arrivati in questi ultimi anni sono stati talmente tanti e potenti che ormai la nostra linea di galleggiamento risulta compromessa. Così mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata! E se dovessimo raccontare in rapida successione quei siluri che hanno colpito la nostra comunità, ciò accorgeremmo di quanto siamo stati bistrattati. Faccio davvero una rapida sintesi.

Vi ricordate il periodo utile al decentramento universitario. Erano gli anni in cui le università cercavano nuovi luoghi di espansione. In quel periodo Orvieto provo a giocare la carta dell’Università. Utile approdo per limitare le perdite dei militari che se ne andavano. Dunque si andava alla ricerca di accordi. E ad un certo punto quell’accordo sembrò possibile con La Sapienza. Due possibilità: una parte della facoltà di Architettura e alcuni corsi di scienze politiche e scienze della comunicazione. Questo grazie anche al lavoro diplomatico messo in essere da Mario Morcellini. Bene. A quella possibilità fu chiusa la porta in faccia. Da chi? Facciamo i nomi. Dalla massoneria e dalle baronie di Perugia. L’università perugina disse: “Mai Roma entrerà sul suolo umbro”. E così fu. Senza ipotizzare scelte diverse da parte di Perugia che, complessivamente, nel territorio ternano poco ha investito. Così a Orvieto non rimase nulla. E l’esperienza dell’alta formazione, che nacque in collaborazione con l’Itelco per ingegneria, sappiamo la fine che ha fatto. Come ingloriosa è stata la fine del Centro studi della Città. E, parliamoci chiaro, l’Università in sofferenza, anche quella perugina, se deve tagliare pensa innanzitutto al territorio ternano. Sappiamo anche noi quali difficoltà abbiamo, come Provincia, a lavorare affinchè non muoia l’esperienza universitaria a Terni. Ma andiamo oltre.

Discussione sulla riforma sanitaria regionale. Non sono mai stato uno strenuo difensore delle Asl piccole, ognuna quale bandiera di un territorio. Una regione piccola come la nostra può vivere con un’unica Asl. Ma non si può raccontare la riforma dell’assetto sanitario definendo due Asl, Due Aziende. Una sorta di duopolio, di cui uno (quello perugino) ricco e un secondo (quello ternano) povero. Ma anche all’epoca la chiusura della Asl arrivava con un progetto. Si disse: cosa è meglio perdere? I servizi sanitari o gli uffici amministrativi. Non c’è dubbio. Meglio difendere la comunità continuando ad offire servizi. Ed allora ecco il sogno e la promessa di un ospedale di emergenza urgenza a Orvieto. Qui, sull’A1, giustificato proprio da questo suo ruolo di servizio. Un ospedale di emergenza e urgenza, dove è possibile stabilizzare – faccio un esempio – i traumi più gravi per poi portarli nei centri specializzati del centro italia. Una promessa. Smentita dalla situazione in cui l’ospedale vegeta. Nonostante il personale si spezzi in due, carenze di organico, scarso appeal per i medici, l’ospedale di Orvieto rischia di essere il fanalino di coda della sanità umbra. La cartina di tornasole di quel sogno mancato è rappresentata – faccio un esempio comprendibile – all’eliporto che ne doveva arricchire le sue possibilità di risposta in emergenza e urgenza. Su quella pista è nato un parcheggio per le macchine. Segno che quel sogno si è presto spezzato.

Ma andiamo avanti. Questo territorio ha progressivamente perso di peso politico. Un peso politico che è stato difficilmente mantenuto per anni di fronte ad un equilibrio territoriale assurdo. Con una Provincia che è tre volte più grande di un’altra. Con una rappresentanza istituzionale in Regione che è di 3 a uno per Perugia. Quante volte abbiamo chiesto il riequilibrio? Quante volte abbiamo chiesto di cambiare una legge elettorale che penalizza il nostro territorio. Quante volte abbiamo chiesto alla politica regionale di ragionare sui territori di cerniera, come il nostro, come risorsa per la nostra regione. Perché è dai territori di confine che possono partire i rapporti di collaborazione con le altre istituzioni confinanti. Sulla sanità, per esempio, sui trasporti pubblici. Mi fermo per un attimo proprio su questo tema. In una situazione di difficoltà politica ed economica che ormai viviamo da tempo, una politica seria sul pendolarismo non è possibile se non fatta in modo organico con i territori provinciali e regionali confinanti. Penso a Siena, Firenze, Viterbo, Roma, Terni e le regioni di appartenenza. Bene, un progetto di questo tipo, una conferenza interregionale del trasporto pubblico locale non è mai stata fatta, nonostante più volte questa richiesta a livello provinciale sia stata inoltrata. Ma è solo una parentesi.

Torniamo, a bomba, sul depotenziamento strutturale del nostro territorio. E arriviamo al tribunale. Quante volte si è tentato di chiuderlo. E quante volte la chiusura è stata evitata. Io arrivo al 1995, quando si palesò questa ipotesi. Una classe politica forte evitò quella follia. Ma avevamo due parlamentari che rappresentavano il territorio. Beppe Giulietti e Carlo Carpinelli, uno alla Camera e uno al Senato. E le altre forze politiche, in opposizione in città e al governo a livello nazionale, fecero la loro parte. Così come le istituzioni provinciali e regionali. C’era orgoglio, capacità politica, forza. Oggi non è così. E dalla testa non mi leva nessuno l’ipotesi che, ancora una volta l’ipotetica scelta di chiudere il Tribunale di Orvieto potrà essere utilizzata da qualcuno per chiedere qualcosa d’altro come merce di scambio. E questo di fronte all’incapacità del territorio di alzare la voce. Alzare la voce. Sì. Serve questo. Ed è proprio su questo che voglio chiudere.


Ho giudicato altre dichiarazioni imbarazzanti. Quelle del nostro Presidente della Regione Marini che, qualche giorno fa, sosteneva l’utilità di conservare la seconda Provincia umbra. Perché una regione con un’unica provincia non avrebbe senso. Certo che non lo avrebbe. Non c’è alcun dubbio. Ma bisognava aspettare la spending review per comprendere che la nostra Regione aveva la necessità di un riequilibrio? E ancora. A chi vive in questo territorio si dice sempre di non agire o pensare con pregiudizio. Ma perché solo oggi si pensa al riequilibrio? Perché non lo si è pensato quando da soli potevamo dare alla Regione una architettura istituzionale di maggiore equilibriio, di maggiore rappresentanza. Ci vedo, in questa nuova volontà riequilibrista, perdonatemi, un equilibrismo dell’ultima ora per evitare che con la chiusura di Terni ci sia la successiva chiusura di Perugia e anche la fine della Regione Umbria. E non per decreto, questa volta, ma per spinte centrifughe che non tarderanno ad esprimersi.

Il territorio di Terni che vive una crisi economica mai vista. Una crisi industriale epocale. E quali soluzioni di sistema avanza la Regione. L’orvietano: uno dei pochi territori umbri, se non l’unico, che perde anche la sfida sul turismo. Presenze in calo. Che politiche ci sono a nostro favore. Io non voglio far rinascere alcuni movimenti come poteva essere la Tuscia. Ma certo è che questo nostro territorio dovrebbe trovare la forza e l’orgoglio per aprire una vertenza con la regione Umbria, innanzitutto. Io sono fieramente umbro e fieramente cittadino della provincia di Terni. Ma a questo punto pensa sia opportuno valutare le opportunità che ci circondano. Sem, ovviamente, queste opportunità ci sono.

E, una volta tanto, non voglio che questo territorio vada in Regione come facevano i nostri braccianti 70 anni fa andando dal padrone col cappello in mano. La nostra Regione ci deve dire se tiene a questo nostro territorio, se intende investire sui territori di cerniera, se ha voglia di progettare con noi il nostro futuro economico, sociale, culturale. Deve dire che l’orvietano è parte integrante ed essenziale della Regione. Perché altrimenti questo nostro territorio, questa nostra comunità, se unita, ha la possibilità prevista dalla Costituzione di fare scelte diverse.

E su questo voglio chiudere, facendo due semplici ipotesi.

Pensate a che sarebbe se una parte del territorio orvietano scegliesse di andare con il Lazio. Magari, dico magari, si potrebbe aprire una trattativa sul versante sanitario per il rilancio del nostro ospedale. Montefiascone ha chiuso, Acquapendente ha chiuso. E forse al Lazio, nonostante la crisi, può interessare un ospedale di emergenza a Nord, in prossimità dell’A1.

E poi penso ai trasporti. Penso ai nostri 1800 pendolari. Una mattina si svegliano laziali e scoprono che i loro abbonamenti mensili si sono dimezzati in termini di costo perché parliamo di trasporti regionali. Ed allora possiamo reinventarci un futuro su quell’asse che per noi è fondamentale (Roma Orvieto Firenze) e che non è stata mai capita a livello Regionale.

Non è una fuga dalla regione Umbria, ma la capacità che la politica dovrebbe avere a difesa della comunità che rappresenta. Quella di ipotizzare alternative, scelte diverse per poi aprire una trattativa, quasi una vertenza sindacale con la regione in cui siamo e, teoricamente, vorremmo restare. In una fase in cui qualsiasi defezione di territorio dalla nostra Regione che più che madre c’è stata matrigna, significherebbe una perdita di peso politico per la Regione stessa nel contesto nazionale.

Ma per fare questa trattativa serve unità. Una unità che non c’è dalle nostre parti. Noi, in provincia, stiamo portando avanti questa unità, definendo che per noi, consiglieri del Pd, di Idv, del Pdl eletti nel nostro territorio esiste un fattore che ci unisce che è quello di considerare l’orvietano un bene comune. Al di sopra delle parti, dell’appartenenza politica, dei partiti in cui militiamo. Il nostro territorio e la nostra comunità viene prima di tutto. E lo sanciamo, oggi, con un intergruppo che nasce sostanzialmente anche se per esprimersi formalmente chiede una modifica dello statuto e del Regolamento del Consiglio Provinciale. Ma poco importa l’aspetto formale se, noi, siamo d’accordo sul fatto che ogni scelta che prenderemo o che sarà presa dovrà superare una semplice domanda: fa bene al nostro territorio?v Ed è rispetto alla risposta che ci daremo che agiremo di conseguenza all’interno dell’istituzione in cui siamo chiamati a svolgere i nostri compiti di rappresentanza.

Ecco, questo scatto d’orgoglio, questa voglia di unità, questa volontà vorremmo che si estendesse anche a livello locale. Noi diciamo basta alle liti personalissime all’interno dei partiti. Non ne possiamo più delle manfrine di chi, nel Pd, sta con tizio o con caio. E la stessa cosa vale per il Pdl o per gli altri partiti. Non serve una sorta di ABC locale. No, Non serve questo. Serve considerare che l’Orvietano è un bene comune. Qualche giorno fa a Terni in provincia abbiamo commemorato la figura del primo presidente della Provincia. Rutilio Robusti. Lui si trovò ad amministrare una realtà che usciva dalla seconda guerra mondiale. Una tragedia. Io ho detto che rimpiango quegli anni, quelli che seguirono, quella politica. Perché era una politica fatta di coraggio, di speranze e di idee. A questo territorio le idee mancano da molto, forse l’ultima idea forte che ha permesso una crescita vera è stato il Progetto Orvieto.

Dopo allora il nulla o poco più. Rimpiango quegli anni, quella bella politica. Quella politica fatta di interessi. Sì, perché la parola interessi non è una parola negativa se quegli interessi sono, come allora, collettivi, di comunità. Oggi, e le liti fratricide che viviamo nel nostro territorio lo dimostrano, la politica si regge sempre sugli interessi, ma sempre più marginali, di gruppi, di cordate o addirittura privati e personali.

Serve uno scatto di orgoglio, serve una piccola rivoluzione anche a casa nostra. Io e gli altri colleghi di consiglio non ce la sentiamo di finire la nostra esperienza amministrativa additati dai posteri come coloro che liquidarono il nostro territorio. Sulla base di una rinnovata unità è possibile salvare la corazzata orvietana, riportarla sopra la linea di galleggiamento, ridare a tutti noi un futuro, fare in modo che la comunità orvietana torni ad avere peso nel contesto regionale.

Per questo motivo vogliamo lavorare agli stati generali dell’orvietano, dove forze politiche, sindacali, imprenditoriali e associazioni si confrontano e danno vita ad un progetto nuovo. Ma sia chiaro. Non ci può essere spazio per chi intende proseguire nel salvaguardare le proprie posizioni o nel difendere interessi personali o di gruppi. Orvieto e l’orvietano meritano qualcosa di meglio. Ed è l’ultimo appello. L’ultimo fischio di allarme prima di dare il si salvi chi può

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